Alessandro Rapiti

3 Settembre

La Macchina di Santa Rosa si solleva tra applausi e tensione. Luigi Aspromonte incita i facchini, la folla mormora di attentati, i cecchini sorvegliano dall’alto. Tra fede, tradizione e paura, l’ex facchino Sergio Mancini sonda la sindaca: il turco è stato preso? La risposta lo gela.

Sotto l’ombra massiccia della Macchina, una voce rimbombò in piazza San Sisto. Luigi Aspromonte sollevò appena la testa, quel tanto che bastava per avvicinarsi al microfono fissato a una stanghetta. La bocca arsa, le mani fradice di sudore.

«Ci serve benzina!» gridò.

Il suono colpì la folla come un colpo secco.

«Il prefetto oggi ha deciso di andare contro la tradizione. Le luci resteranno accese. Per questo chiedo a tutti di dare ancora più forza a questi ragazzi: stanno per fare qualcosa di grande per tutta la città».

Non era un appello: Luigi martellava le parole con colpi corti del braccio, come se potesse spingere lui stesso la marcia dei facchini. La luce delle lampade appiattiva i contrasti, riflessi freddi scivolavano sulla doratura della Macchina. Luigi spalancò gli occhi verso la santa e urlò con tutto il fiato che aveva:

«Siamo tutti d’un sentimento?»

«Sììì!» rispose la piazza.

Stringendo ancora più forte il microfono: «Evviva Santa Rosa!»

Il coro esplose di nuovo: «Evviva!»

Un brivido corse tra i facchini. Dalle viscere della Macchina venne un rumore di stoffa e legno, che si adattava al respiro di cento uomini. Luigi non disse altro. Si batté il petto due volte con il palmo aperto: un richiamo fisico, un invito alla forza. Quando si passò la mano sulla fronte, sembrò spazzare via l’esitazione.

Tra gli spettatori qualcuno sbuffò per le luci: il bagliore elettrico apriva abissi d’ombra lungo i cornicioni, spegnendo la resa dei dettagli dorati. Luigi lo notò, strinse la mascella. E tacque, lasciando che quel «date benzina» restasse sospeso nell’aria, affondasse nei cuori e tornasse indietro, amplificato, dal coro che saliva piano tra la piazza e le sue pietre.

Un facchino sistemò il ciuffo sulle spalle, provò l’appoggio sulla barra. Cercò i lacci, li afferrò, se li mise in bocca e li morse con forza.

«Facchini di Santa Rosa! Sotto col ciuffo e fermi!»

Luigi strinse il microfono tra le mani unite come in preghiera.

Nessuno fiatò. Solo respiri profondi. Il fruscio della stoffa che cercava posizione. Il tintinnio del metallo. Le spalle ben aderenti alla Macchina, le mani già rosse alle sbarre: cento uomini pronti a farsi corpo unico.

«Sollevate e fermi!»

La Macchina scricchiolò, traballò, poi si sollevò. Un gemito sfuggì alla gola di chi aveva passato i cinquanta.

La folla esplose in applausi. Urla, mani alzate, bambini sulle punte per vedere oltre le teste. Vecchie signore con fazzoletti sugli occhi, giovani che si spingevano per farsi spazio, telefoni come finestre tremolanti.

Luigi si spostò, si staccò dal microfono, mise le mani in contrasto con la direzione del passo, come a proteggere la Santa.

«Fermi!»

«Fermi!»

Alzò lo sguardo al cielo. «Santa Rosa… Avanti!»

Il rumore si aprì attorno alla figura enorme della Macchina: una torre tra i cornicioni, lamine lucide e panneggi, pinnacoli che riflettevano la luce. Migliaia di punti luminosi vibravano: luci fredde miste a candele, tremori dorati sulle mani dei facchini.

Luigi dettava il passo. «Uno, uno, uno!»

Archi, guglie, simboli affioravano nella luce. Sotto, il telaio sussurrava. Catene e bulloni masticavano il movimento. Sopra, la statua nascosta tra le strutture oscillava con il passo degli uomini.

«Vai, vai, così, bene!»

Richiamò un facchino con un tono rapido.

«Sinistro, sinistro… bravi!»

Nel pubblico, alcune mani battevano il tempo con Luigi, altre chiamavano la Santa, urlando fino a diventare paonazze.

Luigi sorrise, si asciugò la fronte.

«Dai, dai, bravi, bravi!»

La Macchina avanzava e ogni sampietrino sembrava vibrare sotto il passo. Le voci si fecero rade, poi fitte di nuovo.

Un uomo si chinò verso la moglie, lo sguardo ai lampioni.

«Le hanno lasciate accese perché temono un attentato», disse mostrandole lo schermo del telefono.

La donna prese il cellulare, sgranò gli occhi. Guardò la Macchina che sfilava. Le candele sembravano fiammelle di un presepe che si spegneva dietro i palazzi.

«I musulmani?» mormorò, appena udibile sotto il coro.

Un ragazzo, che aveva origliato, scosse la testa. Cercò il segnale sul telefono. Niente. Troppa gente. Provò a inviare un messaggio, ma la rete era saltata. Strinse il telefono, il respiro accelerò. Il sudore gli imperlò la fronte. Cercò una via di fuga, cominciò a sgomitare, tra urla e insulti.

Una signora gli sfiorò il braccio. «Va tutto bene?»

Ma lui era già sparito, lasciandola con la mano nel vuoto.

Intanto, qualcuno ricevette un video: mostrava uomini stranieri portati via dalla polizia davanti al santuario. I sussurri crebbero, tagliati da risatine nervose e dagli applausi in lontananza.

Una madre mise la mano sulla spalla del figlio. «Ci penserà Santa Rosa.»

Un anziano si voltò. «Saranno i soliti mitomani. Hanno arrestato un ragazzo stamani, ma non c’entra nulla.»

Sui tetti, il vento sapeva di tufo e asfalto. Un uomo era accovacciato dietro un comignolo. Il poggiolo del fucile sul bordo. Nel mirino, la piazza era un mosaico di teste e luci. Le mani ferme, il pollice sul grilletto.

Premette il tasto della cuffia.

«Centrale, Alfa-Due. Codice giallo, movimento anomalo settore tre», mormorò.

Aggiustò la messa a fuoco su un gruppo in movimento.

«Alfa-Due, confermato. Procedi.»

Alfa-Due seguì un uomo che correva.

«Centrale, maschio adulto in fuga verso est, griglia Romeo-Sette. Possibile panico civile, non minaccioso. Richiedo pattuglia a terra. Over.»

«Roger Alfa-Due. Charlie-Quattro in arrivo. Mantieni osservazione.»

Alfa-Due cambiò frequenza. «Beta-Uno, sitrep.»

Dalla cuffia, un sospiro. Sul tetto opposto, un altro uomo, spalle al camino.

«Beta-Uno, Fontana Grande green. Rosina in avvicinamento, nessun ostile. Over.»

«Copy Beta-Uno. Centrale out.»

Alfa-Due spense il microfono. La tensione si allentò un attimo. Sui tetti, le ombre tornarono pietra.

La Macchina rallentò vicino a Fontana Grande. I passi si fecero più corti. Respiri pesanti sotto il peso. Maglie inzuppate.

Luigi alzò il braccio. «Alt… I cavalletti!»

Leve tirate, puntoni sistemati. Un colpo secco, poi un tonfo sordo.

I facchini scattarono. Le spalle cedettero il peso, le ginocchia si piegarono. Poi si raddrizzarono. Palmi strofinati sulle cosce. Respiri profondi.

«Calare piano e stare fermi!» ordinò Luigi.

Il movimento fu sincronico. Preciso.

Luigi si chinò. Controllò i cavalletti. Cenno con la testa.

«Santa Rosa, fuori!»

Un respiro attraversò la piazza. Applausi, fischi, cori. Volti lucidi. Qualcuno baciò la mano e la alzò verso la torre.

Sergio Mancini diede una pacca sulla spalla di Luigi e lo abbracciò. Poi raggiunse la sindaca Chiara Frontini, circondata dai giornalisti. Le luci dei microfoni le scolpivano il volto.

Sergio si chinò. «Hanno preso il turco?»

Lei abbassò lo sguardo, scosse la testa in fretta. I giornalisti si avvicinarono. Lei tornò tra i microfoni, riprese il filo dell’intervista.

Sergio rimase un attimo lì, poi fece cenno a un facchino. Si allontanò a passi corti. Il cellulare già in mano.

3 Settembre